Lo dicevano a bassa voce, come per non risvegliare qualcosa. Qualcosa che stava lì da anni, immobile, in agguato tra le mura marce di Villa Magnoni, alle porte di Cona, vicino Ferrara. Non era solo una casa abbandonata. Non era solo un rudere. Era un confine. E chi lo attraversava… cambiava per sempre.
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La Strada Provinciale 22 è una lingua d’asfalto che taglia la campagna emiliana come una ferita. Campi coltivati, fossi, alberi radi. E poi, all’improvviso, lei. La villa. O meglio, ciò che ne resta.
Una volta doveva essere bellissima. Sontuosa, direbbero i vecchi. Una residenza nobiliare con tanto di stalle, giardino, e un boschetto alle spalle, a chiuderla nel silenzio. Ora è solo un guscio vuoto. Crepe profonde, calcinacci, muffa e silenzio. Soprattutto silenzio. Uno di quelli che ti scava dentro.
Da fuori sembra morta. Ma dentro... qualcuno dice che respira ancora.
Nessuno sa con esattezza chi l’abbia costruita né quando fu abbandonata. Qualcuno ricorda un tentativo, anni fa: un imprenditore locale aveva cercato di acquistarla. Ma non riuscì mai a trovare il proprietario. Né lui né un erede. Come se... non fossero mai esistiti.
E poi c’è quella storia. Quella che tutti a Cona conoscono. Quella che sussurrano ai margini dei bar, dopo il secondo bicchiere di rosso, con la voce bassa e gli occhi che non ti guardano mai dritto in faccia.
Una leggenda. O forse no.
Era estate. Metà anni Ottanta. Una notte calda, immobile. Di quelle che fanno sudare anche i pensieri. Quattro ragazzi di Ferrara, vent’anni o poco più. Nessun nome, nessuna foto. Solo voci. Erano andati lì, alla villa. Per gioco, per noia, per sfida. Forse per provare a vedere se la leggenda era vera. Forse solo per sentirsi vivi.
All’inizio fu tutto normale. Entrarono nel giardino, tra l’erba alta e gli alberi contorti. Poi si fecero coraggio e spinsero la porta. Non era chiusa. Mai stata. Il piano terra era silenzioso, vuoto, solo odore di marcio e vecchio.
Ma poi salirono.
E qualcosa cambiò.
Un buco nel pavimento li fece quasi precipitare. Una trappola nel buio. Poi, all’improvviso, delle urla. Di bambino. Stridule, disperate. Come se stesse succedendo qualcosa, in quel momento. Come se qualcuno stesse ancora cercando aiuto, dopo tutti quegli anni.
Scapparono. Di corsa. Attraversarono scale e stanze senza guardarsi indietro. Ma prima di uscire... la videro.
Dalla finestra del piano superiore, quella che dà sul giardino, una figura. Una donna anziana, molto anziana. I capelli bianchi come la calce scrostata. La pelle tirata. Gli occhi... quelli non li ha mai dimenticati nessuno.
Urlò. Una voce secca, metallica, che non era di questo mondo.
"ANDATEVENE!"
Loro scapparono davvero, stavolta. Salirono in macchina, partirono. Veloci. Troppo veloci. Ma l’auto non arrivò lontano. Qualche curva più avanti, finì fuori strada.
Tre morti.
Uno sopravvissuto.
L’unico che raccontò tutto alla polizia.
Un racconto confuso, pieno di silenzi e sguardi nel vuoto. Una villa abbandonata. Una voce di bambino. Una vecchia alla finestra.
Poi, niente.
Di lui non si seppe più nulla.
Non un nome. Non un indirizzo. Solo il vuoto.
La villa venne murata. Tutti gli accessi, le finestre. Ma qualche giorno dopo, una sola finestra risultava ancora aperta. Sempre quella. Quella da cui la donna era apparsa. Qualcuno dice che fosse irraggiungibile, che nessuno riuscì mai davvero a chiuderla.
E quella finestra... guarda ancora.
Da allora, la leggenda è cresciuta. I curiosi non sono mancati. Ragazzi con le torce, gruppi con le telecamere. Alcuni giurano di aver sentito dei sussurri. Una voce femminile che diceva: "Andate via." Altri raccontano urla di bambini, ombre scure che si muovevano vicino a quella finestra.
Ma sono solo storie, no?
Oppure no.
L’Italia è piena di case come questa. Mura sgretolate, tetti crollati, leggende incollate alle pareti. Ma ci sono luoghi... che sono diversi. Luoghi dove l’aria pesa. Dove il tempo sembra essersi fermato. Dove qualcosa... aspetta.
Villa Magnoni è uno di quei posti.
E se vi capita di passare da Cona, una sera, quando la nebbia arriva bassa e lenta sulla strada... non guardate verso il bosco.
Perché potreste vederla.
La finestra.
Aperta.
E qualcosa, dentro, che vi guarda.
4 Commenti
MI E PICCIUTO COME RACCONTO DARK
RispondiEliminaMolto bello, anche a me è piaciuto moltissimo
EliminaSinceramente certi racconti mi lasciano sempre con un punto interrogativo.....sono un po' come san.Tommaso
RispondiEliminaIo sono andato anni fa ma nn si poteva entrare
RispondiElimina