C’è un’effigie su pietra a Varallo in memoria della Strìa Gatina, una donna trucidata a Cervarolo di Varallo nel gennaio del 1828. La storia di Margherita Guglielmina de Gaudenzi è quella di una donna sola, povera e malvista, circondata da pregiudizi e superstizioni. Il suo aspetto cupo e il carattere difficile la rendevano oggetto di scherno e sospetto, e il suo destino prese una piega tragica. Una maledizione, due morti sospette, e l’ombra della stregoneria portarono a una spedizione punitiva. Questo è il racconto del massacro dell’ultima strega in Italia.
L’effige su pietra a Varallo, posta sulle rive del fiume Mastallone, recita: “In memoria della Strìa Gatina, ultima strega massacrata in Italia, trucidata a Cervarolo di Varallo il 22 gennaio 1828, custode dell’antica sapienza montanara”.
Si chiamava Margherita Guglielmina de Gaudenzi, aveva 64 anni, e non era una persona facile: povera e dal carattere difficile, era definita petulante, invadente, scorbutica verso i vicini, e inoltre aveva un aspetto cupo.
Era alta, non bella, e il suo volto era scuro e spesso accigliato, queste caratteristiche, insieme al suo aspetto torvo, fecero sì che in paese venisse malvista e derisa, soprattutto dai ragazzini che iniziarono a chiamarla “strega”, ma anche gli altri compaesani non la vedevano di buon occhio.
Margherita non era malvagia, anzi, aveva una figlia debole e malata, e faceva quel che poteva per sopravvivere. Era stata soprannominata Strìa Gatina, ovvero Strega Gattina, perché si credeva che il gatto, associato alle streghe, le si confacesse.
Il suo destino prese una svolta tragica in seguito a un fatto che ebbe inizio circa un anno prima della sua morte.
Dopo aver venduto, a malincuore, un terreno di sua proprietà per poter mettere da parte qualche soldo, la donna si oppose con tutte le sue forze quando i nuovi proprietari decisero di abbattere un grande e vecchio albero di noce, che era stato suo, e al quale lei era molto affezionata.
La sua rabbia per quel gesto fu tale che scagliò una maledizione sui due responsabili del taglio dell’albero, i quali non tardarono a subirne le conseguenze.
Uno dei due uomini morì dopo pochi mesi, mentre l’altro si ammalò gravemente, quella, agli occhi dei superstiziosi compaesani, fu la prova inconfutabile che la donna fosse realmente una strega, e pertanto andava eliminata.
Subito al paese si gridò al maleficio e due uomini, tra cui il fratello del morto, ebbero l’appoggio, nonché l’incoraggiamento del vicesindaco di Cervarolo e di altri “potenti” del posto, attuarono una spedizione punitiva per costringerla a togliere la maledizione sull’uomo malato e, possibilmente, eliminare l’ombra della stregoneria dal paese.
Bussarono alla sua porta e la donna aprì, ignara di ciò che di lì a poco le sarebbe successo.
Ascoltata la richiesta dei molesti visitatori, inveì contro di loro, mentre la figlia tentò di aiutarla e venne chiusa dai due in camera sua, gli uomini allora si sfogarono su Margherita e la massacrarono a bastonate, e quando questa morì non si fermarono, ma continuarono a batterla finché il suo volto fu irriconoscibile e il suo corpo martoriato.
Non si era più nel Medioevo, era il 22 gennaio 1828, ma la caccia alle streghe sembrava ancora aperta.
Dopo l’assassinio di Margherita, i due fuggirono e di loro non si ebbe più traccia.
Gli uomini vennero giudicati colpevoli di omicidio in contumacia e condannati a scontare 7 e 10 anni di reclusione, ma sin dalla sera del fatto fecero perdere le proprie tracce e non si fecero più vedere, la pena fu poi annullata tre anni dopo, nel 1831, grazie all’indulto generale concesso da Re Carlo Alberto, nuovo Re del Piemonte.
Il vicesindaco e gli altri istigatori, inizialmente incriminati, vennero presto assolti, e della Strìa Gatina non si parlò più.
Curioso che sull’effigie siano riportate le parole “custode dell’antica sapienza montanara” e soprattutto che, non nel Medioevo, ma solo due secoli fa, ci fosse un mondo di barbare ingiustizie perpetrate nei confronti di donne “colpevoli” di tramandare antiche tradizioni erboristiche e naturali.
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