Uno dei peggiori incubi che da sempre tormenta uomini e donne è quello di risvegliarsi in una tomba. Il pensiero di aprire gli occhi nel buio più assoluto, con il respiro soffocato e la consapevolezza che ogni tentativo di liberarsi è vano, ha generato racconti e leggende in ogni epoca e cultura. È un terrore universale, che abbiamo esplorato anche quando vi abbiamo raccontato la storia di Bloody Mary che affonda le sue radici in una paura più antica: quella di essere sepolti vivi.
A Malgrate, questo incubo ha preso forma concreta, si è fatto leggenda. La storia che vi stiamo per raccontare parla proprio di questo, di una donna che, si dice, sia morta due volte. Una vicenda che non ha lasciato in pace neppure le sue notti senza fine.
La casa della contadina sorgeva ai margini del paese, un luogo silenzioso che sembrava avere un respiro proprio, lei viveva lì, tra la terra e il cielo, accompagnata dai ritmi lenti del lavoro nei campi e dalle giornate scandite dai richiami delle campane. Era una donna come tante, con mani callose e uno sguardo che sapeva di fatica e di silenzi, nessuno avrebbe potuto immaginare che proprio lei sarebbe diventata il cuore pulsante di una leggenda.
Era un giorno d’autunno, di quelli in cui il vento porta con sé l’odore umido delle foglie morte, la donna era rimasta sola in casa, i familiari erano nei campi, lontani. Si era seduta al tavolo per consumare un pasto semplice, forse una fetta di pane con formaggio o una zuppa calda, nessuno sa con esattezza cosa fosse, ma qualcosa andò storto: il boccone le rimase incastrato in gola, provò a tossire, a respirare, ma l’aria non arrivava. La stanza, fredda e scarna, si fece improvvisamente opprimente.
Con il cuore che martellava e il panico che cresceva, crollò al suolo.
Quando i familiari tornarono, trovarono il corpo immobile sul pavimento, il volto era contratto in un'espressione di dolore, le mani strette come ad afferrare qualcosa che non c’era. Non c’era alcun dubbio: era morta.
Presero una cassa di legno, grezza e semplice come la vita che aveva vissuto, e vi adagiarono il corpo con una cura che era più rassegnazione che affetto, e la portarono al cimitero, dove rimase nella cappella in attesa del funerale del giorno successivo.
La notte calò su Malgrate con il suo consueto carico di silenzio e oscurità, le ombre si allungavano tra le lapidi, e il vento, sottile come un sussurro, sembrava raccontare segreti alle pietre. Nessuno vide cosa accadde in quelle ore, ma qualcosa cambiò.
Il mattino seguente, i familiari tornarono al cimitero per preparare la sepoltura, fu allora che notarono che il coperchio della bara era stato spostato, sembrava essere stato spinto, forzato dall’interno. Non era completamente aperto, ma bastava per gelare il sangue nelle vene.
Le mani tremavano mentre scoperchiavano la cassa e lì, davanti ai loro occhi, si presentò uno spettacolo che avrebbero voluto dimenticare ma che li avrebbe perseguitati per sempre.
La donna era lì, ma non come l’avevano lasciata: gli occhi sbarrati, spalancati su un orrore che nessuno poteva comprendere, le mani, quelle mani che avevano lavorato la terra per anni, erano insanguinate, con le unghie spezzate e il legno della bara portava i segni della sua disperazione: graffi profondi, tracciati nel tentativo disperato di aprirsi un varco verso la vita.
Ma non ci era riuscita. Non del tutto.
Le labbra, ormai violacee, sembravano formare un urlo silenzioso e il volto, segnato da rughe di fatica, ora portava l’impronta di una paura primordiale, non era morta soffocata, questo era chiaro. Il boccone che l’aveva uccisa la prima volta era stato espulso, ma non era bastato, si era risvegliata nel buio, sola, circondata dal legno che la soffocava. Aveva lottato, con tutta la forza che aveva, ma alla fine era stata sconfitta.
Era morta una seconda volta, stavolta di puro terrore.
La voce si sparse velocemente per il paese. Malgrate, con le sue stradine strette e le sue case addossate, diventò un teatro di sussurri e superstizioni, qualcuno parlò di una maledizione, altri di un’anima inquieta che non aveva trovato pace, si diceva che, di notte, nel cimitero si potessero sentire ancora i graffi contro il legno e il lamento soffocato di una donna che cercava di tornare in vita.
E poi c’è chi giura di averla vista.
Una figura pallida, con le mani tese verso il cielo, come se stesse ancora cercando di aprire la sua bara. Apparirebbe tra le tombe nelle notti di luna piena, un’ombra silenziosa che si aggira tra le lapidi, testimone eterna di un errore umano e di un destino crudele.
A Malgrate, ancora oggi, quando il vento soffia tra gli alberi e il crepuscolo avvolge il paese, qualcuno si ferma ad ascoltare. E nei momenti di silenzio, se si tende bene l’orecchio, si potrebbe sentire un suono lieve, come unghie che graffiano il legno.
Ma forse è solo il vento.
O forse no.
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