La leggenda di Bianca e Adalberto nel Castello di Bornato

La leggenda di Bianca e Adalberto nel Castello di Bornato


Sotto la pallida luce di una luna velata, si staglia il profilo oscuro del castello di Bornato, avvolto in un alone di mistero e sussurri dimenticati dal tempo, un'ombra vaga tra le antiche mura, una presenza che sfugge alla vista ma non al cuore di chi sa ascoltare. Questa è la leggenda di Bianca e Adalberto, una storia d'amore e dolore che ancora echeggia tra i corridoi del castello, intrisa di una malinconia che non si è mai dissolta.


Immagina di trovarti su una collina panoramica, dove la vista si perde tra le dolci curve delle valli e il cielo sembra toccare la terra, è proprio qui, in questo incantevole scenario, che sorge il Castello di Bornato, un maestoso testimone di secoli di storia e arte.

Correva l'anno 1280 quando Everardo Bornato, figura di spicco dell'epoca, decise di erigere questo castello su un antico castrum romano, la sua visione era quella di creare una fortezza imponente, che potesse dominare il paesaggio circostante e offrire protezione ai suoi abitanti. 

Così nacquero le mura merlate in pietra grezza, robuste e imponenti, con torri, contrafforti, fossati e un ponte levatoio, tutte opere attribuite a Inverardo da Bornato, valoroso signore e condottiero del luogo.

Con il tempo è passato di mano in mano, subendo radicali modifiche e oggi, il Castello di Bornato rimane un prezioso scrigno di storia e cultura, un luogo dove le pietre e gli affreschi raccontano storie di gloria, passione e tragedia, invitandoci a viaggiare nel tempo e a scoprire le mille sfumature del passato.

E noi, avidi divoratori di storie e leggende, siamo qui per svelare la storia che ha dato origine al racconto del fantasma che si dice infesti il Castello di Bornato.

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Correva l'anno del Signore 1438, un periodo di forte tensione in Lombardia, quando Antonio Martinengo, valente condottiero bresciano e alleato dei veneziani, giunse a Bornato, in quei giorni la giovane Bianca dimorava nel castello, o forse nei suoi pressi, accudita dalla saggia nonna Caterina. 

Bianca era una popolana, figlia della terra e del destino, con occhi che riflettevano la speranza e il terrore di un'epoca crudele, fu allora che il suo sguardo si incrociò con quello di Adalberto, un giovane lanciere, anch'egli popolano, che la sorte aveva condotto tra le fila dei combattenti.

Fu un incontro di anime predestinate, un colpo di fulmine che fece sbocciare l'amore come un fiore tra le rovine, Bianca e Adalberto vissero giorni di felicità effimera, il loro amore splendeva come una candela in una notte senza stelle. 

Ma la guerra, con la sua mano implacabile, strappò Adalberto dalle braccia di Bianca. 
La battaglia infuriava poco distante, il rombo dei cannoni e il clangore delle spade erano il sinistro presagio di una tragedia imminente, infatti, sebbene Antonio Martinengo uscì vittorioso, per Adalberto non ci fu ritorno.

Bianca attese con il cuore stretto dall'angoscia, finché non le giunse la triste conferma: un fazzoletto di lino macchiato di sangue. 

"Chi lo indossava non ha fatto ritorno", si mormorava tra le lacrime, quel simbolo di morte segnò l'inizio di un dolore eterno, un tormento che trascendeva la vita stessa.

Il resto è la storia di un'agonia senza fine, l'eco di un amore spezzato che avrebbe potuto essere ma non fu mai, si racconta che Bianca non trovò più pace, ed il suo spirito inquieto si aggira ancora tra le mura del castello. 

Si dice che il suo fantasma, avvolto nel dolore e nella solitudine, non abbia mai abbandonato le mura del castello e che, durante le notti di luna piena, quando il cielo si tinge di argento e le ombre prendono vita, l'anima tormentata di Bianca si risveglia.

Le finestre del castello si aprono e si richiudono con un sussurro, come se volessero intrappolare qualcosa di più di un semplice vento notturno, le luci danzano, ora accese ora spente, come se fossero gli occhi di un fantasma che cerca disperatamente la via per la liberazione.

E sulla torre più alta, là dove il cielo si fonde con la terra e il tempo sembra arrestarsi, appare l'ombra pallida di Bianca, vestita di bianco come un angelo caduto, i suoi lunghi capelli fluttuano al vento, mentre il suo sguardo perduto cerca invano il ritorno del suo amato, ma nessuno l'ha mai scorta.

È una presenza sottile, percepibile solo da chi ha il cuore aperto all'ascolto.

L’anima di Bianca cerca serenità, una pace che la guerra le ha negato e pare chiedere a noi, che viviamo ancora, di riconoscerla nei piccoli segni: nel fruscio delle foglie mosse dal vento, nel volo improvviso di una tenda, nell'aria che risale dalla valle portando con sé un flebile richiamo, la presenza di Bianca è ovunque nel castello, è in un'anta che sbatte, nel legno che scricchiola, o nel sospiro nel vento.

Ci chiede di vivere un po' di quell'amore e di quella pace che le furono strappati, e che forse sono stati negati a tanti altri, così, la leggenda di Bianca e Adalberto continua a vivere, un memento mori che ci ricorda la fragilità della vita e la forza dell'amore eterno.

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