Le città medievali custodiscono affascinanti storie che hanno spesso per protagoniste le donne e le loro storie d’amore e morte. Anche Firenze ne ha una molto particolare ambientata nel medioevo, attorno alla fine del XIV secolo, poco tempo prima della grande Firenze dei Medici, quando in città imperversava una grave pestilenza.
E come tutte le leggende che hanno poi dato vita ai racconti dei cronisti del tempo, dei cantastorie e dei poeti, ha un suo fondamento storico e questa storia lo ha in un luogo preciso di Firenze: “Via della Morte”.
“Via della Morte” o “Via della Morta”, in pieno del centro storico, è la strada che parte da Piazza del Duomo e termina in Via dell'Oche costeggiando la Compagnia della Misericordia, anticamente si chiamava Via del Campanile per il fatto che dalla strada si vedeva il Campanile di Giotto.
La via quasi sicuramente deve il suo nome ad una sepoltura molto particolare, una tomba con incise le lettere G e A, che rimanda al nome di Ginevra degli Amieri, una gentildonna della Firenze del trecento ed a una delle storie più strane e spaventose della culla del Rinascimento.
Una triste storia di amore e morte, un racconto che avrebbe lasciato per sempre il segno nelle menti e nei cuori dei fiorentini e non solo, un fatto che in quel tempo e in quel particolare luogo, la Firenze del Trecento, sconvolse la vita di tre tra le più influenti famiglie fiorentine e la città intera.
Ginevra degli Amieri, erede di una famiglia ghibellina, era figlia di un ricco mercante e una delle donne più in vista di una città che da qualche tempo era piegata dalla peste.
Fra le poche famiglie che ancora riuscivano a resistere alla piaga, spiccava quella degli Amieri che, pur avendo perso quasi tutti i suoi discendenti, a parte il capostipite Bernardo e sua figlia Ginevra, ancora manteneva una certa influenza in città.
La bella giovane era colta ed intelligente e piaceva a quasi tutti i giovanotti fiorentini, ma quello era il tempo del padre padrone che comandava su tutto, soprattutto sul futuro dei propri figli, per cui, senza chiedere il suo parere, l'aveva promessa in sposa all’erede degli Agolanti, una ricca famiglia di commercianti.
Ma Ginevra, come spesso accadeva, era innamorata di un altro ragazzo, Antonio Rondinelli e da questo era ricambiata, ma, dato che il giovane non era né nobile né ricco, la ragazza dovette accettare un matrimonio senza amore con un uomo molto più vecchio di lei.
Secondo alcuni racconti, a causa di questo amore infelice, mentre secondo altri, a causa dell’epidemia di peste che infuriava il città, Ginevra iniziò a stare male ogni giorno di più. Fino a che non accadde l’irreparabile.
Un mattina la giovane fu trovata nel suo letto morta e, probabilmente per il timore del contagio, dopo essere stata frettolosamente vestita di bianco, fu sistemata, in attesa della tumulazione, in una cappella presso la chiesa di Santa Reparata, l'antica cattedrale di Firenze.
Una triste fine per un amore contrastato, una versione di Romeo e Giulietta in riva all’Arno, ma questa è una strana storia ed il finale non è così scontato, il meglio deve ancora venire.
Durante la notte Ginevra si risvegliò e, trovata la forza di spostare la lapide, riuscì a fatica a raggiungere la casa dove abitava con il marito, quest’ultimo, credendo di essere perseguitato dallo spettro della moglie, la scacciò terrorizzato e lo stesso trattamento le riservarono i genitori che l’avevano sepolta poche ore prima.
Allora Ginevra decise di andare da colui che amava e dal quale era stata separata e Antonio, a differenza dei familiari, la accolse a braccia aperte e senza timore di un eventuale contagio e fece in modo che si riprendesse del tutto.
La storia ha un lieto fine, perché le autorità ecclesiastiche stabilirono che la morte di Ginevra era stata un miracolo e che il rifiuto del marito, oltre a quello della famiglia, aveva ormai interrotto il loro vincolo e dichiararono sciolto il precedente matrimonio, per cui Ginevra e Antonio poterono coronare il loro sogno d’amore.
Il cantore che narrò per primo la storia di Ginevra è stato individuato in un certo Agostino Velletti, un menestrello fiorentino vissuto in città nella seconda metà del Quattrocento e la sua vicenda è considerata dai più realmente accaduta, sia perché si riteneva di aver rintracciato le vie percorse a Firenze dalla giovane, ma anche il già citato segno G.A. sul vecchio campanile di Santa Reparata, ma anche la procedura di seppellire velocemente i morti per contagio era una pratica diffusa durante la pestilenza, molti infatti sono i casi nelle cronache di miracolose resurrezioni.
Per altri invece frutto della fantasia, perché per esempio tra il 1396 ed il 1400 non è conservata alcuna traccia o testimonianza di matrimoni, ma in fondo che sia reale o meno, rimane una bella storia dove la protagonista è una delle poche persone a cui la morte ha cambiato la vita in meglio.
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