L’Accabadora: la Dama Sarda della “Dolce Morte”

L’Accabadora la Dama Sarda della “Dolce Morte”


Come un fantasma, arriva di notte avvolta in un mantello nero, la sua figura, al buio, ricorda quelle illustrazioni stereotipate della morte, in mano non ha una falce, ma una sorta di martello fatto con un ramo di color olivastro, lungo quasi quaranta centimetri e largo venti, il cui manico è nodoso e ricurvo verso l’interno. È l’Accabadora, la donatrice di morte.


La Sardegna è una terra ricca di storia, di cultura e di tradizioni popolari. La più famosa è senza dubbio la leggenda dell’Accabadora, che fonda le sue radici in un tempo lontano dove la separazione tra bene e male era meno netta di quanto non lo sia ai giorni nostri.

L’ Accabadora aveva il compito di praticare l’eutanasia su persone affette da gravi malattie che, ormai in stato terminale, non ce la facevano più. Questa pratica avveniva su richiesta dell’interessato o della sua famiglia, per cui era vista come una presenza benevola.

La morte doveva avvenire in maniera rapida e, possibilmente, indolore e con la massima discrezione, ma, come detto i tempi non erano quelli attuali con la medicina moderna, per cui i metodi erano piuttosto cruenti.

Prima di iniziare il suo ingrato compito, la stanza veniva privata di qualsiasi immagine sacra, la cui presenza, secondo la tradizione, avrebbe impedito all’anima di staccarsi dal corpo, poi l’Accabadora donava la morte al sofferente, colpendolo sull’osso parietale con un colpo secco del suo bastone nodoso, oppure lo soffocava a mani nude tappando naso e bocca o ancora appoggiandoli sopra un cuscino.

La morte avveniva tra le quattro mura di casa, sempre durante la notte, attraverso un rituale per accompagnare il malcapitato alla fine della vita che durava diversi giorni:

Per tre giorni e tre notti veniva posto sotto il cuscino del morente un piccolo giogo che avrebbe avuto lo scopo di migliorare le condizioni del moribondo, ma se, passati i tre giorni non si ottenevano risultati, era il momento dell’ammentu.

L’ ammentu era una sorta di confessione, durante il quale i parenti elencavano al morente tutti i peccati commessi in vita, questo serviva a liberargli l’anima per facilitare il trapasso, ma si racconta che alcuni siano morti per i sensi di colpa, altri invece fossero guariti, per timore di finire all’inferno.


L’ultimo rituale, prima dell’arrivo dell’Accabadora, era quello di avvolgere il morente con teli bagnati, questo sarebbe dovuto servire ad abbassare la febbre, ma si dice che più d’uno sia morto di polmonite.

La figura dell’Accabadora era venerata quasi come una sacerdotessa che poneva termine alle sofferenze dei malati, ma non è mai stata associata alla morte, anzi a volte era chiamata per assistere ai parti più complicati che mettevano in pericolo la vita della madre o del nascituro.

La sacerdotessa era in grado di donare la vita e la morte.

Le storie legate all’ Accabadora si raccontano da molto tempo, pare che le prime testimonianze siano datate 1500 anni prima della nascita di Cristo e l’ultimo rituale che pare sia stato richiesto risale al 1952 a Orgosolo.

Da quel giorno nessuno ha più richiesto i servigi dell’Accabadora.

Almeno ufficialmente.

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