Nel linguaggio comune un doppelgänger è definito come il gemello di qualcuno, il suo doppio, ma nelle storie che raccontiamo questo doppio ha un che di perfido e di maligno, può essere la premonizione di sventure. Questa è la storia degli ultimi giorni di Marco Giunio Bruto, l’assassino di Cesare.
Le vicende dell’Antica Roma sono ricche di personaggi che hanno fatto la Storia, di eventi che hanno cambiato questa Storie e tra questi non può mancare quello che è accaduto il 15 marzo del 44 Avanti Cristo. Le famose Idi di Marzo.
La parola Idi deriva dal latino idus, termine che era utilizzato dagli antichi romani per indicare la metà del mese, nella di particolare, le Idi di Marzo erano il 15esimo giorno di marzo.
Ma perché sono entrate nella storia?
C’era una seduta nel Senato di Roma, una come tante e a dominare la scena, come tanti altri giorni c’era il dictator perpetuus, il dittatore a vita fresco di nomina, Caio Giulio Cesare.
Le sue gesta ed il suo carisma lo avevano fatto diventare un uomo famoso e potente nella Repubblica, ma tanta popolarità non aveva fatto altro che attirare invidie dei gruppi di senatori che gli si opponevano in maniera più o meno silenziosa.
Gruppi che quel giorno avevano pianificato di cambiare la Storia.
Al termine della seduta nella Curia di Pompeo, un gruppo di 23 persone attendevano in silenzio il momento giusto per colpire e, al segnale convenuto, balzarono verso il dittatore ed iniziarono a colpirlo con i loro pugnali.
La Storia ricorda questo evento anche per un particolare: Cesare morente riconobbe una persona tra gli assalitori e lo apostrofò non senza una vena di tristezza, con la celebre frase:
Tu quoque, Brute, fili mi
La frase era rivolta a Marco Giunio Bruto, uno dei congiurati delle Idi di Marzo, forse proprio l’organizzatore e figlio adottivo Cesare ed è proprio Bruto ad essere il protagonista della nostra storia.
Secondo lo storico Plutarco, nei giorni seguenti l’assassinio, Bruto aveva cominciato a ricevere in sogno la visita di un fantasma, secondo alcuni lo spettro di Cesare e Bruto ne era ossessionato, poiché secondo i racconti degli anziani, questo genere di visione, che i moderni chiamano doppelgänger era un presagio funesto.
Doppelgänger, che tradotto letteralmente suona come doppioandante, è un termine preso in prestito dal tedesco ed è composto da doppel, doppio e Gänger, che va. In tedesco si riferisce a un qualsiasi doppio o sosia di una persona, più comunemente in relazione al cosiddetto gemello maligno o alla bilocazione.
In alcune mitologie, vedere il proprio doppelgänger è un presagio di morte, mentre visto da amici o parenti di una persona può anche portare sfortuna o annunciare il sopraggiungere di una malattia, in ogni caso un brutto presagio.
Bruto era perseguitato dallo spettro che diceva di essere il suo cattivo demone e si racconta che alle tre del mattino del giorno della Battaglia di Filippi, gli apparve quello che Plutarco definisce "un fantasma", mentre stava curando gli ultimi dettagli della strategia da seguire in battaglia e quando vide l’ombra, gli chiese:
- Chi sei tu? Da dove vieni?
- Sono il tuo cattivo demone – rispose questa di rimando – Bruto: ci rivedremo a Filippi
- Ti rivedrò? Provò a chiedere Bruto, ma l’ombra era già sparita.
Bruto la rivide era la notte di qualche giorno dopo, poco prima del fatidico ultimo scontro a Filippi, quando le truppe romane furono sconfitte e, solo un malinteso tra lui e Cassio, aveva trasformato una disfatta accettabile in una disastrosa ritirata.
La delusione per la resa si mescolò con l’ossessione dell’ombra e degli oscuri presagi e Bruto non riuscì a reggere il peso della vergogna. Il cesaricida si suicidò, aiutato dal compagno e amico Stratone, quella notte stessa.
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