Questa è la storia di uno strano processo, che, in teoria dovrebbe muoversi secondo regole stabilite e condivise, reali e tangibili, così come i reati che si intendono perseguire, ma siccome i fatti si svolgono in un tempo e in un luogo dove concretezza e realtà avevano un significato diverso dal nostro, sicuramente più sfumato, ecco che tutto il processo diventa strano, misterioso e incredibile. Questa è la storia del processo alle streghe di Triora.
Adesso Triora è un borgo dell’Appennino ligure di ponente in provincia di Imperia, in Liguria, ma allora, siamo alla fine del XVI secolo, era un insediamento rurale, piccolo, ma bello ed accogliente, popolato da tutte brave persone, rispettose della legge e soprattutto osservante delle regole religiose.
Come accade in ogni racconto, serve una miccia per innescare la storia e questa miccia per Triora fu una profonda carestia causata dall’appropriazione di derrate alimentari da parte dei proprietari terrieri locali intenzionati ad arricchirsi, ma addebitata ad alcune donne, sia quelle più umili, che alcune di condizione sociale più elevata.
In un altro luogo e in un altro tempo, forse si sarebbero cercate altre cause alla carestia, ma lì a Triora nel 1587 si pensò subito all’intervento del Diavolo, l’antagonista per eccellenza.
Presa per buona questa spiegazione, si cercò il colpevole che avesse fatto entrare il Maligno nella comunità e la risposta fu evidente a tutti: nel paese c’era una strega. O forse più di una.
Su invito della stremata comunità locale e del podestà Stefano Carrega, arrivarono nel paese il vicario inquisitoriale e il vicario del vescovo di Albenga Gerolamo Dal Pozzo, entrambi convinti dell’esistenza della stregoneria e del sabba. I due, durante la messa presso la chiesa parrocchiale, invitarono le popolazioni del luogo alla delazione per individuare più facilmente i colpevoli.
In seguito a indagini sommarie e a spietati interrogatori effettuati anche con l’aiuto della tortura, secondo un metodo ormai consolidato, furono messe sott’inchiesta oltre quaranta donne e un uomo, che confessarono di essere autori dei malefici e molte altre nefandezze.
Ma non finì qui.
Tra le presunte streghe arrestate, la sessantenne Isotta Stella morì a causa delle torture, mentre un’altra donna cadde dalla finestra, forse un tentativo di fuga finito male.
La situazione stava andando fuori controllo, così nel gennaio 1588, il Consiglio degli Anziani si rivolse al Doge di Genova pregandolo di sospendere i processi, revocare l’incarico ai due inquisitori e far intervenire al loro posto l’Inquisitore generale Alberto Drago.
Drago visitò Triora nel maggio 1588, ottenendo il rilascio di una delle accusate, ma meno di un mese dopo l’arrivo di Giulio Scribani, commissario nominato dal governo genovese, fece precipitare gli eventi.
Scribani promosse una caccia alle streghe in tutta la zona, coinvolgendo anche i paesi vicini a Triora, Castelvittorio, Montalto, Badalucco, Porto Maurizio e Sanremo e fu fermato solo dal governo genovese che, visti i numerosi nuovi arresti e la richiesta della pena capitale per molti imputati, decise di conferire a Serafino Petrozzi l’incarico di rivedere i processi e di verificare cosa stesse realmente succedendo, ma anche in questo caso si continuava ad inquisire e giustiziare le donne del posto.
La caccia alle streghe ormai era fuori controllo e l’Inquisizione genovese, nell’estate 1588, decise di agire rivendicando la sua competenza esclusiva sulla vicenda e trasferendo le accusate a Genova nelle prigioni governative.
Il cardinale Giulio Antonio Santoro, arcivescovo di Santa Severina e segretario del Sant’Uffizio, dopo avere letto i verbali, accusò i giudici locali di «inumanità et crudeltà».
Nel frattempo, le donne trasferite a Genova avevano ritrattato le loro confessioni, in precedenza estorte sotto tortura e le sentenze finali, emesse tra 1589 e 1590, furono molto clementi. Una parte delle inquisite fu condannata all’abiura e a leggere alcune penitenze, una parte, invece, fu rilasciata.
L’unico uomo messo sotto accusa, Biagio de Cagne, fu condannato anch’egli all’abiura.
Così terminò un processo lungo tre anni, dove le comuni regole del vivere in comunità furono sostituite da una sorta di isteria collettiva, che portava a vedere il Diavolo e la stregoneria in ogni donna che abitava nel circondario e poi, come d’incanto, tutto finì, lasciando solo un vago ricordo di quella volta in cui l’Inferno si era spostato sulla terra.
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