Certe storie non si raccontano. Si sussurrano, a bassa voce, come un’invocazione o una preghiera. Perché ci sono luoghi dove il tempo non ha dimenticato nulla, e le pietre ricordano. Castel Beseno, nel cuore del Trentino, è uno di questi luoghi. Immenso, solitario, incastonato sulla cima di una collina come un monito. Lì, dicono, visse un uomo vestito d’ombra e di sangue. E il suo nome, oggi, nessuno osa pronunciarlo ad alta voce.
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Non è il più antico, né il più sontuoso, ma con i suoi sedicimila metri quadrati Castel Beseno è il più grande castello medievale del Trentino. E il più inquieto.
Si trova a metà strada tra Trento e Rovereto, appollaiato su un’altura che domina la valle come un falco immobile nel tempo. Le prime cronache lo nominano nel XII secolo, sotto i conti di Appiano. Da allora, la sua storia si è intrecciata a battaglie, leggende, ombre. E tra queste ombre, c’è quella che fa più paura di tutte.
Il Cavaliere Nero.
Dicono che sia arrivato in una notte che sembrava l’ultima del mondo. Una tempesta furiosa squarciava il cielo sopra Besenello. I lampi illuminavano la strada come fendenti di luce. E fu lì, tra i bagliori, che comparve lui.
In sella a un destriero nero come l’inferno, vestito di ferro e oscurità , guidava una masnada di sgherri armati fino ai denti. Scese al paese come un castigo. Fece uscire tutti gli abitanti dalle case. Donne, vecchi, bambini, contadini. Li radunò davanti a sé, e la sua voce, quando parlò, sembrava ferro che graffia la pietra.
«Se non volete morire, costruitemi un castello sulla sommità della collina.»
Non era una richiesta. Era una sentenza. E loro, schiacciati dalla paura, obbedirono. Giorno e notte, senza tregua, senza parole. Finché la fortezza fu completata.
Ma la tirannia non si fermò lì.
Una seconda leggenda racconta che lo stesso Cavaliere, divenuto padrone del castello, iniziò a imporre tasse impossibili. Ogni stagione era più dura della precedente. I raccolti non bastavano mai. I bambini morivano di fame. E lui, dall’alto, osservava tutto senza muovere un dito.
Finché qualcosa si spezzò.
Una notte, il popolo si ribellò. Salirono al castello, armati solo di rabbia e disperazione. E lo trovarono. Nessuno sa come, nessuno sa dove sia finito. Solo una certezza rimane: da quel giorno, il Cavaliere Nero scomparve.
Ma non del tutto.
Ancora oggi, nelle notti di luna piena, una fiammella si aggira tra le rovine. Qualcuno giura di averla vista. Una luce tremolante, solitaria, che cammina tra i corridoi abbandonati. È lui. Il Cavaliere. Condannato a vagare in eterno tra le pietre che aveva fatto erigere con la paura. Tra le grida che lui stesso aveva fatto tacere.
E poi c’è l’assedio. Quello impossibile.
Sette anni durò. Sette inverni, sette primavere, sette estati. Un esercito intero accampato ai piedi del castello. I viveri all’interno erano agli sgoccioli. La resa sembrava vicina.
Fu allora che una vecchia, una mercante astuta, ebbe un’idea.
«Lanciate tutto quello che avete. Fatelo ora, davanti ai loro occhi.»
Vacche. Sacchi di grano. Gli ultimi rimasti. Buttati dalle mura, come se fossero scarti. Un gesto folle.
Ma funzionò.
I nemici, convinti che nel castello ci fossero ancora scorte infinite, persero ogni speranza. Pensarono che l’assedio potesse durare anni. E se ne andarono.
Della vecchia mercante non si seppe più nulla. Sparita come era apparsa.
E il castello rimase lì, vuoto e vigile. Con le sue torri, le sue leggende, le sue notti piene di silenzi che parlano.
Perché ogni castello ha il suo fantasma. Ma non tutti i fantasmi hanno avuto un volto così reale, così spietato, così... vicino.
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