Il fantasma di Matelda e il menestrello risorto: misteri del castello di Poppi

Fantasma di Matelda e leggenda di Grifo nel castello di Poppi

Poppi è un nome gentile. Un nome da fiaba. Ma in Toscana, tra le pieghe delle colline casentinesi, quel nome si porta dietro un’ombra lunga. Un castello. Un’eco. Una torre di pietra che spunta come un dente storto in mezzo ai tetti rossi. Là dentro, da secoli, si raccontano due storie. Una è fatta di sussurri e passi leggeri sulle scale. L’altra… di urla e di un lenzuolo che si muove quando dovrebbe essere immobile. Entrambe hanno un odore di pietra umida, di ferro e di qualcosa che non si può spiegare.

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La torre del castello di Poppi, in provincia di Arezzo, la chiamano la Torre dei Diavoli. Un nome che non lascia molto spazio all’immaginazione.

In cima a quella torre, tra le celle di pietra, si aggira ancora qualcosa. Qualcuno. Una donna. Matelda. Bella da togliere il fiato. Di quella bellezza che non dimentichi, che ti resta negli occhi anche quando chiudi le palpebre. Era la moglie del signore di Poppi, uno dei Conti Guidi. Una casata potente, rispettata… e temuta.

Siamo nel Duecento. Un tempo in cui le punizioni si misuravano in sangue e i peccati in chilate di carne umana. Matelda passava le sue giornate chiusa tra quelle mura, sola. Troppo sola. E la solitudine, si sa, è un veleno lento.

Cominciò così: qualche sguardo rubato, una carezza furtiva, una notte rubata al buio. Poi un’altra. E un’altra ancora. Gli amanti erano giovani, belli, incauti. Ma c’era un problema. Uno grosso. Il marito.

Il conte era un uomo duro, spietato, famoso per il modo in cui si sbarazzava dei suoi nemici. Matelda lo sapeva. Così decise di fare di testa sua. Dopo ogni incontro, i suoi amanti sparivano. Non più tracce. Nessun corpo. Nessun addio. Solo silenzio.

All’inizio nessuno parlava. Ma in un borgo come Poppi, le parole sono come l’acqua: trovano sempre un modo per passare. Le voci crebbero. Sussurri tra i banchi della chiesa, nei vicoli dietro la piazza. E quando anche l’ultimo giovane non tornò a casa, la gente perse la pazienza.

Assaltarono il castello. Lei non scappò. Non ci provò nemmeno. La presero. La trascinarono nella torre. E lì, nel cuore di quelle mura spesse, la murarono viva.

La Torre dei Diavoli, la chiamano da allora.

Ma Matelda non finì lì.

No, perché certe anime non si rassegnano. E la sua bellezza, dicono, è rimasta. C’è chi giura di vederla affacciarsi da una finestra del castello, di notte, vestita di bianco. Il volto pallido. Bellissimo. Troppo. E c’è chi entra nel museo e sente un soffio sul collo. Una voce bassa, calda, che sussurra all’orecchio parole che non si capiscono. Ma che fanno venire i brividi.

Forse è ancora sola. Forse cerca qualcuno. Qualcuno da amare. Per una notte. Solo una.

Ma non è l’unico fantasma.

Ce n’è un altro. Meno inquietante, almeno all’apparenza. Grifo. Un menestrello. Uno che cantava, suonava, si guadagnava da vivere facendo ridere e piangere. Era bravo, sì. Ma aveva un difetto: si spaventava per un nonnulla. E questo il conte Guidi lo sapeva. E si divertiva.

Una notte, il conte gli raccontò una storia. Una di quelle che si appiccicano al cervello e non ti lasciano dormire. Parlava di una statua. Simone da Battifolle, un guerriero scolpito nella pietra. Immobile. Fiero. Ma non sempre.

Grifo ci credette. Quando passò accanto alla statua e la vide muoversi — o credette di vederla muoversi — corse a raccontarlo al conte. E lui, insieme ai cugini Oberto e Bandino, decise di fargli uno scherzo.

Uno scherzo pesante.

Oberto si travestì da Simone, con l’armatura. Entrò nella stanza del menestrello nel cuore della notte. Un passo. Poi un altro. Il rumore del metallo che batte sulle pietre. Grifo vide quell’apparizione… e il cuore non resse. Cadde a terra. Morto.

O almeno così sembrava.

Il conte, stavolta, si pentì. Ordinò un funerale. Una cerimonia come si deve. Ma il giorno dopo… successe qualcosa.

Grifo fu visto. Girava attorno al suo stesso sepolcro. Con addosso il lenzuolo. Bianco. Come un fantasma. Ma vivo. Vivo come non mai.

Da allora, lo chiamarono “il Morto Resuscitato”.

Nel castello di Poppi non c’è solo pietra. C’è qualcosa che resta. Che aspetta. E che ogni tanto ritorna.

Tu… ci andresti da solo, di notte?

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